Storie

Piccoli archeologi crescono

Nico Sasso, classe 1991, pugliese trapiantato a Ferrara e cittadino del mondo, si dedica alla diffusione della cultura preistorica tra i più piccoli. Dottore in Archeologia, ha trasformato la sua grande passione per il Paleolitico e l’Uomo di Neanderthal e il suo indiscusso talento naturale con i più piccoli in una attività di successo. Insieme ad altri studenti o neo laureati si dedica all’Archeologia preistorica didattica e sperimentale, convinto che insegnare ai bambini, attraverso il gioco, a leggere i segni nascosti del passato sia fonte inesauribile di scoperta personale, oltre che universale.
Archeologo si nasce o si diventa?
Con l’archeologia ci nasci o al massimo ti appassioni, quasi all’improvviso. La mia passione sono sempre stati i dinosauri (lo sono ancora), ma quando ti trovi davanti ai resti di un’altra specie che in un altro momento della storia faceva le tue stesse cose, scatta qualcosa. Non si riesce a spiegare: questo è un lavoro che fai solo per passione. Ho iniziato a fare la guida turistica da volontario all’interno di un sito archeologico 13 anni fa e da allora non ho più smesso.
Come nasce l’idea di organizzare laboratori didattici sull’archeologia?
Far comprendere qualcosa di difficile, ma entusiasmante; di lontano nel tempo, ma molto vicino allo stesso tempo; di misterioso, curioso, sporco, ma di una chiarezza, precisione e lucidità disarmanti: è da queste premesse che nascono i laboratori.  
In cosa consistono?
Dall’evoluzione dell’uomo e degli animali ai concetti di estinzione e adattamento all’ambiente; da come si accendeva il fuoco a come si fabbricavano gli strumenti per la caccia. Poi ci sono la pittura, la scultura, la fabbricazione del vasellame e la lavorazione dei metalli. E dalla lezione frontale, ridotta all’osso per questioni di tempo, si passa ai giochi che possono essere una serie di quiz a punti, di cruciverba creati appositamente per ogni argomento trattato, allo scavo simulato, alla ricostruzione di scheletri di uomini primitivi, alla cucina preistorica, alla decorazione dei vasi fatti con l’argilla. E d’un tratto mi ritrovo a catalizzare l’attenzione di centinaia di bambini che per poche ore si trasformano in archeologi o artisti preistorici.
Qual è la ricetta vincente?
Sinceramente? Non lo so. Quando lavoro con i bambini sono un fiume in piena. Mi lascio completamente andare. Mi trasformo in quel bambino che vorrei tanto ancora essere e al quale nessuno ha mai spiegato chi fosse l’uomo di Neanderthal, o come si cucinava la carne del mammut o come si cucivano le pellicce per farsi le scarpe e camminare sui ghiacciai. Mi accorgo di aver fatto un buon lavoro solo alla fine, quando loro, i bambini, chiedono se mai ci si rivedrà per poter fare altre domande, o provare a disegnare o scavare o spiegare questo e quello. Credo che sia questo il segreto: diventare un bambino.
Cioè abbassarsi al loro livello?
Diventare uno di loro. Abbassarsi si fa per dire, perché loro sono molto più in alto di noi: loro ti fanno una domanda e mentre tu rispondi, sono già proiettati alla domanda successiva o dialogano con te su quella risposta che cercavano, proponendo altro, magari entrando fantasiosamente nell’argomento, ma sempre con una lucidità disarmante. E i bambini sono così, sono disarmanti quando con una domanda o una risposta ti spiazzano, perché hanno già capito tutto, conoscono già quell’argomento.
Faccio un esempio. Lo studio delle impronte fossili si chiama icnologia. Tu non sei un libro che sta lì a dire a un bambino che icnologia vuol dire studio dell’impronta, tu sei una persona, più alta e con la barba (i bambini vedono solo questa differenza tra loro e te che gli parli), se gli vuoi spiegare cosa vuol dire icnologia, gli piazzi davanti un’immagine, un disegno, o una vaschetta piena di sabbia in cui fai mettere il piede ad uno di loro e la risposta se la devono cercare da soli, immaginando e vedendo dal vivo come funziona la realtà. A volte ci si scontra in ambito accademico su cosa si dovrebbe spiegare ai bambini, scegliendo spesso di non dire o non fare delle cose perché difficili da far comprendere e che la semplificazione non va bene. Io sono per la semplificazione, non per il pressapochismo, ma solo per la scelta delle parole. Tranne quando vai in classe, o al museo, o in dipartimento all’università, e tutte le tue preoccupazioni svaniscono quando i piccoli ne sanno più di te. E allora esordisco con un mio must che ripeto ad ogni lezione: “allora sapete già tutto! Decidete, fate voi lezione a me o me ne posso andare a casa a vedere i cartoni animati?” Ovviamente la parola magica è cartoni animati e quando i bambini sentono dalla tua bocca che tu sei come loro, vedi e fai le cose come loro, allora è fatta: hai tutta la loro attenzione. 
Consiglieresti il tuo percorso?
Consiglio di coniugare teoria e pratica e soprattutto di fare della passione il motore delle proprie azioni. Io ho fatto tre percorsi per arrivare a questo punto. Paralleli. Il primo è quello lavorativo, tra un parco archeologico e due musei in giro per l’Italia. Il secondo è quello accademico tra Lecce e Ferrara, che mi ha dato davvero tanto in termini di istruzione. Il terzo è quello didattico dove ho la possibilità di ricambiare quello che gli adulti hanno fatto per me quando ero piccolo, io ora lo faccio con le nuove generazioni.
Che cosa ti aspetti dal futuro?
Nonostante la situazione culturale italiana in questo campo non sia rassicurante (un esempio per tutti: nei libri scolastici del 2017 ho letto nozioni ferme agli anni ’80, o che gli archeologi studiano i dinosauri), e nonostante le difficoltà per una corretta informazione e divulgazione siano tante, sono convinto che insegnare ai bambini cosa vuol dire avere a che fare con una specie umana diversa dalla nostra, ma uguale in opere e pensieri, lasci ancora spazio alla speranza.

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