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Storie

Gianluca Esposito, romano, 41enne, ha una grande abilità: riesce a plasmare materie come l’argilla, la ceramica, l’alluminio, conferendo loro forma e significati in grado di affascinare chi le osserva, di proiettarlo in una realtà ricca di suggestioni, a tratti grottesca ma sempre permeata di fascino, bellezza.
“Sono arrivato alla scultura e in generale alle arti figurative in un periodo un po’ difficile della mia vita – ci racconta -. Lavoravo come commesso in una libreria per mantenermi e alimentare la mia grande passione, il teatro. Ha rappresentato il mio orizzonte esistenziale per quasi 10 anni. Sono arrivato anche a fondare una piccola compagnia”.

E poi?
Il nostro gruppo ha iniziato a mostrare dei limiti probabilmente legati all’immaturità e io ad avvertire un senso di inadeguatezza sempre più marcato, al punto di decidere di abbandonare tutto. Una decisione sofferta, accompagnata da una fase di grande sconforto. Poi nel 2009, sotto Natale, un’amica ceramista mi  ha invitato nel suo laboratorio per farmi distrarre dandole una mano…è stata lei ad accorgersi che avevo una naturale propensione a modellare

Quando e come hai capito che questa poteva davvero essere la tua strada?
Dal primo esperimento nel laboratorio della mia amica ho iniziato a lavorare incessantemente. Sebbene molti giudicassero il mio un talento innato ho dovuto faticare molto per acquisire quella “competenza tecnica” che mi mancava e necessaria per metterlo a frutto. Il punto di non ritorno è arrivato nel 2012. La provincia di Roma concedeva degli spazi espositivi a Palazzo Valentini e, del tutto inaspettatamente, la mia domanda è stata accettata, esattamente come quelle di artisti con una storia più solida alle spalle. Poter realizzare una mostra personale in una sede istituzionale in un certo senso mi ha legittimato ai miei stessi occhi. Rispetto al teatro, oltretutto, pittura e scultura offrono dei tempi e dei filtri nell’interazione con il pubblico gestibili con minor difficoltà da una persona particolarmente emotiva…

Il teatro è comunque presente nel tuo lavoro
Certamente. Il bagaglio di esperienze vissute sulla scena  e un gusto divertito per il grottesco credo emergano con forza dal mio lavoro. Molti degli oggetti che realizzo sono decisamente vicini alle maschere

Consiglieresti il tuo stesso percorso?
Direi di no, soprattutto se intrapreso esclusivamente sulla base di un proprio talento. Il talento non giustifica nulla. Nessuno è obbligato a sfruttarlo, lo si ha per natura. Puoi essere portato per le lingue senza necessariamente tentare una carriera da traduttore. Senza un’urgenza esistenziale di  liberare questo talento per potersi esprimere e, in qualche misura, “liberarsi”, davvero non lo consiglierei. Al giorno d’oggi, e in particolar modo se parliamo di arte, il talento deve essere sostenuto da una forte propensione al sacrificio… L’accesso alla creatività diffusa dei nostri tempi ha confuso un po’ le acque, crea ambiguità,  confusione, aspetti che rendono sempre più arduo il lavoro di chi cerca di comunicare in modo continuativo, magari come il sottoscritto su un crinale che vede illustrazione, artigianato, scultura mescolarsi continuamente.   

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