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Storie

Diversamente da suoi molti colleghi, alcuni dei quali decisamente meno capaci e “blasonati”, Fabrizio Di Liginio non ama le luci della ribalta. Se volessimo scomodare la fisica aristotelica potremmo dire che il suo luogo naturale è davanti ad un forno, non ad una telecamera. Eppure è tra i più abili interpreti dell’arte bianca nel panorama nazionale, da alcuni anni “indiscusso responsabile” del successo di numerosi locali capitolini. E ciò soltanto grazie alle sue pizze gourmet, ai suoi impasti ad alta idratazione che vengono coccolati per ben 72 ore prima di finire nei piatti di fortunati commensali.
Il viaggio di Fabrizio inizia nel ristorante di famiglia a Borgo San Pietro, un piccolo paesino della provincia di Rieti, e prosegue, dopo la formazione all’istituto alberghiero di Rieti, con corsi di alta formazione in panificazione e poi presso la scuola italiana pizzaioli, della quale diventa presto istruttore. L’esperienza prosegue in numerose strutture sparse su e giù per lo stivale, in Europa fino ad arrivare in Cina.
Da Borgo San Pietro alla provincia di Sichuan c’è parecchia strada
Sono una persona curiosa per natura e mi piace il cambiamento. Ho difficoltà a restare fermo o a sedere sugli allori: da questo punto di vista la parentesi cinese ha rappresentato davvero un bel cambiamento, anche se forse un po’ estremo.
A livello culturale, sicuramente, ma immagino anche gastronomico…
La pizza, pietanza globale per antonomasia, in Cina paradossalmente non ha ancora preso piede. Il gusto, al pari di qualunque altro senso, va educato e in quel paese, diversamente da quanto accade nel vicino Giappone, questo percorso è appena iniziato e richiederà ancora molti anni. A livello gastronomico la diversità che ho potuto vivere e toccare con mano mi ha arricchito moltissimo, soprattutto dal punto di vista della conoscenza e dell’impiego delle spezie. Tante suggestioni, finite ad esempio nella mia pizza a impasto base focaccia con pancia di maiale in agrodolce… davvero eccezionale!
Provieni da una famiglia di ristoratori, la tua è una passione “obbligata”?
Le mie origini hanno condizionato il mio percorso di formazione, facendomi orientare sugli studi alberghieri. La passione, però, non è arrivata grazie alla mia famiglia ma grazie ad un professore ”malato” per la panificazione. Quindi, in termini assoluti, direi di no. Anzi l’arte bianca in un certo senso mi ha affrancato dalla ristorazione tradizionale portata avanti fieramente e con discreto successo dalla mia famiglia, permettendomi di lavorare in contesti diversi e di sperimentare.
Dici di essere attratto dal cambiamento, a livello pratico ciò si traduce in?
Ricerca e innovazione continue. Le persone banali e facilone credono che dietro una pizza non ci sia studio o ricerca. La cifra del lavoro che io e molti colleghi portiamo avanti è rappresentata dal fatto che vent’anni fa pensare ad un impasto a lunga lievitazione e ad alta idratazione, con processi di idrolisi degli amidi, anche per locali da due/trecento coperti, equivaleva a pensare di fare la pizza sulla luna…Oggi è una realtà.
Consiglieresti questo mestiere?
Faccio la pizza per passione.  Mi piacerebbe  che tutti conoscessero questo mestiere e la soddisfazione  che si prova a regalare un’emozione. Nel mio caso è questa la giustificazione alla vita di sacrifici, agli orari impossibili, alla fatica fisica che rappresenta una componente molto rilevante in questo genere di attività. Quindi credo che lo consiglierei, anche se le condizioni attuali mi sembra stiano diventando sempre più proibitive. L’attuale contesto economico non favorisce gli investimenti in professionalità e la grande disponibilità di manodopera straniera, in molti casi disposta a lavorare 15 ore al giorno ad un terzo della paga, sono aspetti che non possono essere sottovalutati se si decide di intraprendere questa strada per vivere…

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